Le innovazioni tecnologiche, la loro capillare diffusione, l’utilizzo e talvolta l’abuso dei dispositivi digitali, generano nella società continui e particolari profili di comunicazione sociale. Tipizzazioni che oltre a caratterizzare le nuove forme manifeste di socializzazione, rendono le relazioni intersoggettive sempre più complesse. Modi attraverso cui le persone apprendono e interiorizzano esempi, regole, valori, comportamenti e ruoli sociali all’interno di un contesto globale-digitale.
Stiamo passando da un modello di società dell’attenzione verso un modello di società dell’intenzione, caratterizzato da forti trasformazioni tecnologiche, culturali e relazionali. Rispetto al passato, queste forme si sono evolute e moltiplicate, coinvolgendo nuovi attori sociali, ambienti ibridi (spazi fisici uniti a quelli digitali) e modalità mediate dalla tecnologia.
La società di oggi sta così diventando, sempre più, diretta espressione delle diverse esperienze di comunità digitali che, coinvolgendo esplicitamente utenti e gestori di piattaforme, finiscono col delineare quelle nuove regole di comportamento e di appartenenza sociali. Proprio l’unione tra lo spazio reale e quello digitale sta così definendo inediti ambiti di condotte personali e collettive, stabilendo forme diverse di atteggiamento interpersonale, di legalità, di sanzioni, di errori, di abusi, rispetto a quelle note e consuete.
In questo scenario di trasformazione sociale, l’intelligenza artificiale (IA) rappresenta non solo l’ultima frontiera tecnologica, ma anche un ulteriore acceleratore di tutti quei processi che contribuiscono a ridefinire la comunicazione e la socializzazione tra persone.
Se già la diffusione capillare dei dispositivi digitali ha modificato le modalità con cui bambini e adulti instaurano e consolidano relazioni, l’ingresso dell’IA nelle interazioni quotidiane porta questo fenomeno a un livello ancora più profondo e pervasivo.
L’IA, infatti, non si limita soltanto a facilitare la comunicazione tra le persone: diventa essa stessa soggetto di relazione, interlocutore, compagno di gioco o di apprendimento, guida o tutor. La sua presenza contribuisce a creare nuove forme di comunità digitali in cui i confini tra reale e virtuale, umano e artificiale, diventano sempre più sfumati.
I bambini che interagiscono con chatbot, giochi interattivi connessi a internet, game aperti verso la rete, assistenti vocali o piattaforme educative basate su IA sperimentano quotidianamente questa fusione tra mondo fisico e mondo algoritmico, interiorizzando regole, linguaggi e comportamenti propri di un ambiente ibrido.
Ma proprio perché l’IA partecipa attivamente alla costruzione di queste moderne tipizzazioni sociali, generando fenomeni di omologazione personalizzata e omologazione comportamentale, è necessario interrogarsi sulle implicazioni a lungo termine.
La collaborazione tra bambini e IA contribuisce a delineare non solo diverse modalità di apprendimento e di gioco, ma anche insoliti codici di appartenenza, differenti forme di interazione e, inevitabilmente, nuovi rischi di abuso, di esclusione, di dipendenza.
L’unione tra reale e digitale generativo non è più una prospettiva futura: è una realtà già vissuta dai più piccoli, spesso senza la piena consapevolezza degli adulti. Comprendere come l’IA modelli queste dinamiche relazionali e comportamentali è oggi un compito imprescindibile per chi si occupa di salute, educazione e sviluppo dei bambini. Perché il modo in cui costruiamo – o lasciamo costruire – le comunità digitali dell’infanzia avrà un impatto diretto sulla società di domani.
Se fino a qualche tempo fa, la tecnologia era soltanto uno strumento nelle mani dei bambini; oggi, con l’avvento dell’IA, sta diventando per loro l’interlocutore talvolta anche privilegiato.
Poiché l’IA non si limita più soltanto a "rispondere" a un comando, ma è capace di apprendere, adattarsi, prevedere comportamenti, proporre soluzioni personalizzate, i bambini attraverso forme diverse di relazioni con i dispositivi digitali sperimentano queste evoluzioni tecnologiche direttamente e senza filtri o mediazioni.
C’è chi usa assistenti vocali per cercare informazioni, chi gioca con videogame basati su IA che adattano la difficoltà in tempo reale, chi crea disegni e storie con applicazioni di intelligenza artificiale generativa. C’è persino chi utilizza chatbot come confidenti, per parlare delle proprie emozioni e paure.
I bambini imparando a dialogare con l’IA, a collaborare con essa per creare contenuti, giochi, risolvere problemi, esplorare il mondo, non sono più soltanto fruitori ma stanno diventando co-creatori. Un cambiamento epocale che va oltre l’uso stesso delle tecnologie digitali, e che ridefinisce il concetto di infanzia in quel nuovo ambiente sociale conseguente all’ibridazione tra reale e digitale.
Una metamorfosi che entusiasma e spaventa allo stesso tempo. Quali sono le opportunità, i rischi, e come accompagnare i bambini in questo nuovo mondo digitale sono le domande a cui adulti e pediatri possono dare risposte concrete.
Diversi studi internazionali documentano i benefici di queste interazioni. L’IA, infatti, può facilitare l’apprendimento personalizzato, adattando il ritmo e la complessità dei contenuti alle capacità e agli interessi di ciascun bambino. L’UNESCO, nel rapporto del 2023, ha evidenziato come l’utilizzo di piattaforme educative basate su IA possa migliorare la motivazione e l’autoefficacia degli studenti, in particolare nei contesti socio-economici svantaggiati. Anche l’UNICEF ha lanciato, con risultati promettenti, progetti pilota nelle scuole di diversi Paesi per integrare l’IA nell’educazione primaria diventando anche uno strumento per sviluppare competenze emotive, sociali e creative.
Tuttavia, accanto alle opportunità emergono anche rischi significativi. La collaborazione tra bambini e IA non è mai neutra: può influenzare comportamenti, percezioni, abitudini cognitive.
Uno dei pericoli principali è l’automazione del pensiero. Se l’IA risponde a ogni domanda, suggerisce ogni soluzione, completa ogni disegno, il bambino rischia di perdere l’abitudine al dubbio, alla ricerca, all’errore. La collaborazione si trasforma allora in delega totale, e può sfociare in passività intellettuale.
Un secondo rischio è la dipendenza emotiva. Alcuni bambini sviluppano un attaccamento eccessivo verso chatbot o assistenti digitali, considerandoli amici o confidenti. Un rapporto che, pur essendo tecnologicamente affascinante, non potrà mai sostituire le relazioni umane reali.
Non vanno poi sottovalutati i rischi legati alla privacy e alla sicurezza dei dati. Molti strumenti di IA raccolgono informazioni sensibili durante l’interazione con i bambini, spesso senza che le famiglie ne siano pienamente consapevoli.
Infine, c’è il tema dell’equità. L’accesso a strumenti avanzati di IA non è uguale per tutti. C’è il rischio di amplificare le disuguaglianze educative e digitali, creando una nuova forma di “divario algoritmico”.
Gli strumenti digitali e l’IA non sono compagni di gioco perfetto. Non sono maestri infallibili. Non sono amici e spesso non sono neanche sinceri. Sono strumenti, potenti e ambivalenti. Come ogni strumento, possono servire a costruire o a distruggere, a liberare o a imprigionare.
Sta agli adulti – genitori, insegnanti, pediatri – decidere verso quale direzione andare. Più in generale, alla società il compito di costruire una nuova alleanza educativa che sappia mettere insieme bambini, tecnologie digitali e intelligenze artificiali, senza che l’una soffochi l’altra. Perché in fondo, la vera intelligenza – quella che insegna a vivere – resta quella umana.
Per educare i bambini a vivere un umanesimo digitale è necessario formarli ad abitare nel mondo tecnologico, sempre connesso, non come consumatori passivi, ma come cittadini attivi, capaci cioè di comprendere, scegliere, proteggere e rispettare sé stessi e gli altri anche quando interagiscono con intelligenze artificiali, robot e ambienti digitali.
Fonte: Società Italiana di Pediatria - A cura di: Alfonso Benevento (esperto in tecnologie e applicazioni di intelligenze artificiali)
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16 Giugno 2025
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