Essere genitori oggi è un compito emozionante ma a tratti ingrato: questo perché madri e padri "moderni" si trovano, spesso senza rendersene conto, bersagliati di prescrizioni impossibili da seguire. Nel tentativo di adeguarsi si affaticano inutilmente, perdono naturalezza nel rapporto con i figli e soprattutto non fanno le mosse giuste e quindi il bene dei propri figli.
Vediamo quindi alcune alcune bugie sull’educazione, veri e propri miti da sfatare.
1. Il mito dell’ascolto
Spesso i genitori dicono "Non mi ascolta, deve ascoltarmi". Ma bisogna tenere presente che il bambino fa fatica ad ascoltare come lo intendiamo noi. Non si può più minacciare o spaventare il bambino con il lupo cattivo o la strega e, come alternativa, si è fatta strada l’idea che si deve parlare ai bambini, che dovrebbero quindi ascoltare. Ma entrambe queste opzioni (minacce e spiegazioni) non tengono conto che il cervello dei bambini è di tipo sensoriale e pratico. Come ci spiegava già Maria Montessori, per intercettare le capacità di comprensione dei bambini non ci si deve dilungare in spiegazioni filosofiche ma bisogna essere concreti, mettere il bambino dentro la situazione e creare le condizioni per fargli fare le cose da solo.
Il genitore di oggi è stato spinto a pensare che il bambino sia un piccolo filosofo, in grado di ascoltare, di diventare consapevole. Ma si tratta di prescrizioni impossibili, che generano confusione nella mente dei piccoli che non sono in grado di comprendere concetti troppo astratti e grande frustrazione nei genitori perché non vengono ascoltati.
2. Parlategli come se fossero adulti
Una declinazione di questo mito del dialogo a tutti i costi è il parlare ai bambini come se fossero capaci di comprendere come degli adulti. Un figlio di 3 anni non può capire le ragioni per cui al supermercato i genitori non acquistano un dolce che lui desidera tanto. Capita di assistere a conversazioni di questo tenore: "Non te lo comperiamo perché dentro ci sono coloranti e conservanti, i tuoi genitori sono contro lo spreco e non abbiamo bisogno di altre merendine in casa. Stiamo cercando di educarti nel modo migliore e ricordati che in questo momento l’Italia è in recessione". Immaginatevi che cosa può comprendere di tutto questo discorso un bambino.
3. Bisogna giocare con i figli
Il buon papà è quello che si mette a giocare con i suoi bambini: questa generazione di genitori ne ha fatto un cavallo di battaglia. Il bene dei figli è giocare con i loro coetanei, con altri bambini, non con gli adulti. Il buon papà quindi deve fare lo sforzo di assumere un ruolo di regia, non mettersi alla pari.
Ma come si può fare concretamente? Organizzando lo spazio di gioco in maniera intelligente e commisurata alle reali esigenze del bambino ed alla sua età, ad esempio portandolo al parco giochi, invitando gli amichetti o accompagnandolo a fare sport.
4. Dobbiamo stare sempre vicini
L’idea che sta alla base di questo "mito" è che i bambini vadano protetti da tutto. Ma in realtà ci sono degli spazi in cui i piccoli non dovrebbero avere accesso: ad esempio il bagno o la camera da letto. Dopo il quarto anno di vita i bambini dovrebbero essere in grado di dormire autonomamente e soprattutto nel loro letto. Creare confusione in questi campi, non avere confini precisi, crea un problema di autorevolezza - non di autoritarismo, si badi bene - dei genitori.
5. Chiedete sempre il loro parere
Anche questo tipo di prescrizione impossibile è legato al concetto di preziosità dei bambini, come se si trattasse di un vaso cinese antico. "Vuoi andare dalla zia o fare il puzzle?" sono alcune delle domande che sentiamo fare ai piccoli. Ma il loro cervello non è pronto per ricevere questo bombardamento, i bambini non sono in grado di decidere. Un esempio di domanda inopportuna? "Chi ti fa dormire stasera, la mamma o il papà?". Si tratta di una decisione che gli crea dell’ansia poiché i genitori sono tutti e due importanti allo stesso modo.
I genitori devono organizzare la giornata dei piccoli in relazione alla loro età (un bambino di 6 non è uno di 9) e soprattutto predisporre un certo tipo di attività. Mentre quando si tratta di scegliere i giochi da fare i bambini possono scegliere perché hanno intuito e sanno cosa li diverte di più in base alla loro età.
6. Sono nativi digitali, non puoi impedirgli di usare lo smartphone
Uno dei grandi idoli dell’epoca moderna: il cellulare va messo in mano ai piccoli il prima possibile. Nativi digitali è un termine inventato dal marketing, non è una rivelazione scientifica: i bambini, soprattutto sotto i 3 anni, devono giocare con l’acqua, la sabbia, fare i travasi, non stare incollati al tablet. Anche il mito del bambino touch è inesistente: il cervello dei piccoli è lo stesso dei bambini che vivevano all’epoca di Maria Montessori, un cervello di tipo sensoriale, non hanno una tastiera in testa.
Anche la comunità scientifica lo conferma: i primi 3 anni di vita devono essere completamente sensoriali. La mano è l’organo che è più in connessione con le aree cerebrali che contribuiscono allo sviluppo.
7. Il dialogo deve esserci ad ogni costo
Quello che conta è stare in relazione o educare i figli? Anche se non si parla sempre e comunque, soprattutto quando i figli sono adolescenti e non ne hanno nessuna voglia, la relazione c’è comunque, attraverso una conoscenza inconscia delle emozioni reciproche: il legame è un dato di fatto.
Quello che è importante costruire sono le mosse giuste a seconda dell’età: i bambini sono più sensibili e malleabili, mentre la fase più critica è la preadolescenza (11-14 anni), quando esplode il bisogno di allontanamento. Si tratta di una situazione che va gestita. Se il figlio vuole schiodarsi dal nido materno, è inutile riproporglielo: in questa fase il materno dovrebbe fare spazio al paterno. Per l’adolescente è importante avere la sua libertà: il padre mette dei limiti, ad esempio la paghetta, entro i quali l’adolescente può muoversi (il messaggio è "non sono un bancomat, tu hai i tuoi soldi e ti organizzi").
A cura di: Daniele Novara, pedagogista e Direttore CPP – Scuola Genitori
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