Per “iperfagia” si intende l’ingestione di una grande quantità di cibo in un periodo di tempo piuttosto breve e in grado di provocare o meno un aumento di peso. Comportamenti iperfagici di bambini e adolescenti possono essere transitori e rappresentare una reazione a stati di ansia e stress. Tuttavia, se persistono e provocano marcato disagio, potrebbero costituire dei campanelli d’allarme di un malessere più serio, in particolare in età adolescenziale. Ne sono esempi la Bulimia Nervosa, in cui a episodi di abbuffata seguono condotte di eliminazione, come vomito autoindotto ed eccessiva attività fisica, e il Disturbo da Alimentazione Incontrollata in cui queste condotte compensatorie non si verificano. Inoltre, chi soffre di iperfagia può sviluppare nel tempo vari gradi di obesità con il rischio di patologie cardiovascolari, ripercussioni psicologiche e peggioramento della qualità di vita. L’obesità è una condizione cronica caratterizzata da un eccessivo peso corporeo dovuto a fattori di ordine genetico, metabolico e ambientale. Attualmente, l’Italia è tra i Paesi europei con il più elevato tasso di obesità infantile, con 3 bambini obesi su 10 secondo i dati più recenti dell’Istituto Superiore di Sanità.
Esistono diverse tipologie di obesità: endogena ossia dovuta a specifiche patologie quali disfunzioni endocrine, esogena in cui l’eccesso di peso è prevalentemente riconducibile ad abitudini alimentari scorrette e, infine, psicogena laddove il cibo è utilizzato per far fronte ad un malessere interiore. In particolare, mangiare può assumere un valore consolatorio di fronte a emozioni negative intense, avviando un circolo vizioso, esacerbato dal senso di impotenza avvertito in risposta all’incapacità di regolare la propria alimentazione. È proprio da qui che nascono e prosperano stereotipi negativi quali pigrizia, mancanza di forza di volontà e ingordigia con i quali poi si identificano le persone affette. Infatti l’individuo obeso, spesso deriso e vittima di emarginazione, vive un disagio intimo e silenzioso che coinvolge tutto il suo essere e va ben oltre il suo corpo. A tal proposito, è fondamentale che questo malessere possa essere «messo in parola». Come sottolinea la Dott.ssa Pamela Pace – psicoanalista, psicoterapeuta e Presidente dell’Associazione Pollicino e Centro Crisi Genitori Onlus – nel testo “La parola muta. La sofferenza del soggetto obeso” (Edizioni San Paolo, 2017): «È necessario porre l’accento sulla sofferenza muta, non semplice da comunicare perché fuori dai riflettori sociali e dall’interesse sanitario, focalizzato sulla riabilitazione di un comportamento alimentare scorretto e di un peso adeguato». Appare quindi indispensabile non banalizzare la condizione che il soggetto vive e riflettere invece sulle implicazioni psicologiche al cuore di questi quadri patologici.
Fin dall’infanzia, tra cibo e amore si crea un forte legame: il neonato infatti soddisfa attraverso l’allattamento un bisogno fisiologico ed al contempo una richiesta d’amore, poiché l’affetto del genitore, trasmesso insieme al latte, nutre il bambino e lo fa crescere. Se il nutrimento è associato all’amore, ecco che esso può assumere – già in tenera età – una funzione di gratificazione e, quindi, compensatoria. In altri termini, la condotta iperfagica può esprimere un appello«muto» – perché veicolato tramite il corpo – ed essere al contempo soluzione e conforto al proprio malessere. Secondo la prospettiva della psicoanalisi, l’atto di alimentazione incontrollata può essere un espediente volto ad evitare la frustrazione che una particolare esigenza insoddisfatta suscita nel bambino: dunque, l’iper-alimentazione e il conseguente senso di sazietà assumerebbero un valore consolatorio.
In conclusione, il soggetto obeso veicola il proprio disagio attraverso un «corpo corazza», che patisce e al contempo protegge l’individuo dallo sguardo degli altri. Se da un lato è necessario aiutare il soggetto a dar voce alla propria sofferenza anziché silenziarla attraverso il cibo, dall’altro resta fondamentale saper andare oltre l’immagine del corpo per arrivare all’essenza della persona. Come evidenzia ancora la Dott.ssa Pace: «È il rimando dell’Altro a definire l’esperienza dell’individuo». Pertanto è importante rivolgere «uno sguardo che ascolti» per mettere in luce la profonda sofferenza e affiancare alla medicina basata sull’immagine un’attenzione psicologica sulla parola.
A cura di: Associazione Pollicino e Centro Crisi Genitori Onlus
26 Aprile 2021
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