Con il termine divezzamento (o svezzamento) si intende il passaggio da un’alimentazione esclusivamente lattea ad un’alimentazione semi-solida e poi solida, caratterizzata dalla progressiva introduzione dei cosiddetti “complementary foods”, cioè alimenti diversi dal latte.
Per quanto concerne il timing e le modalità del divezzamento, è importante dire che Il divezzamento è una fase cruciale nella storia nutrizionale del bambino ed è innanzitutto necessario, perché progressivamente il latte materno da solo diventa insufficiente a soddisfare le richieste fisiologiche di energia, proteine, ferro, cobalamina, zinco e vitamine liposolubili A e D. Infatti nei primi sei mesi di vita si assiste ad una modifica della struttura dell’emoglobina, a un cambiamento nella composizione corporea che vede l’aumento di massa muscolare e un’altra serie di variazioni nella madre e nel bambino che portano alla naturale necessità, in questo periodo della vita, di introdurre alimenti “complementari”. Questa introduzione dovrà essere graduale e seguire le esigenze del bambino in crescita. Esistono diverse modalità di svezzamento: tradizionale, autosvezzamento, vegetariano, etc. Tutte le modalità svolte correttamente sono da considerarsi sicure ma per indirizzare la mamma alla scelta più corretta è fondamentale farsi guidare caso per caso dal pediatra e dal nutrizionista.
Non c’è da stupirsi se per alcuni bambini il primo approccio con il cibo è un momento di disagio misto a stupore ed è normale che possano insorgere delle piccole problematiche, ma questo non deve essere fonte di preoccupazione per i genitori.
Le principali problematiche si possono riassumere in 4 punti.
Problemi di adattamento
Non è insolito che il bambino rifiuti costantemente e con decisione il cucchiaino; questo perché il passaggio dalla suzione alla deglutizione è molto delicato e si tratta dell’attivazione di una maturazione neuro-sensoriale. È consigliabile quindi lasciare il cucchiaino tra le labbra finché non proverà a succhiare da solo una piccola quantità di pappa. Non bisogna trascurare anche l’aspetto psicologico che il bambino affronta durante il divezzamento che può essere vissuto come un distacco dalla mamma. Al contrario, soprattutto se la fame è eccessiva, può capitare che il bambino si innervosisca nell’attesa di piccole dosi offerte dal cucchiaino ed è quindi consigliabile assicurarsi che il bambino sia nella giusta condizione per confrontarsi con la pappa: non troppo affamato (eventualmente anticipare di un po’ il momento del pasto) e non distratto (da tv, cartoni animati, giochi, ecc.).
L’inappetenza
Il rifiuto della pappa, evento che a volte può persistere in modo continuo e deciso, potrebbe risolversi spontaneamente ritardando di qualche giorno il divezzamento e provando a riproporre la prima pappa più avanti.
Importante però verificare se si tratti di un problema vero o falso.
Falsa inappetenza: nel tempo la velocità di crescita rallenta fisiologicamente; questo, unito ad una densità calorica più elevata dei cibi assunti, fa sì che il bambino mangi apparentemente di meno. Contemporaneamente l’acquisizione di strategie comportamentali da parte del bambino può portarlo a rifiutare ostinatamente i cibi meno graditi ben sapendo che presto gli verranno proposte alternative più allettanti. Se il pediatra conferma che la crescita del bambino è regolare, meglio adottare delle regole di comportamento per far sì che la tavola non diventi un terreno di scontro.
Vera inappetenza: non dobbiamo trascurare l’evenienza che possa essere l’espressione di uno stato di malessere, soprattutto quando sono presenti disturbi come febbre, tosse o diarrea. Se sta mettendo dei denti, soprattutto se si tratta di molari e canini, la masticazione può essere fastidiosa e può ridurre l’appetito. È comunque inopportuno in ogni caso forzarlo a mangiare; sarà cura del pediatra decidere in merito alla situazione.
Problemi educazionali
È importante, durante il divezzamento, non dare al cibo significati che si allontanano dal suo principale scopo nutrizionale. Il cibo infatti in modo errato può essere usato come premio (“se fai il bravo ti do una caramella”) o come ricatto (“se non mangi non vai a giocare”).
Disturbi allergici o pseudo-allergici
Il primo anno di vita è un periodo delicato nel quale l’organismo del bambino non ha ancora sviluppato efficaci difese ed è maggiormente esposto al rischio di sensibilizzazione allergica. Proprio in questo momento si possono creare le premesse per una successiva comparsa di allergie. Nel primo anno di vita le forme allergiche sono soprattutto di tipo alimentare, ma queste aprono poi la strada verso la sensibilizzazione ad altre sostanze negli anni successivi. I sintomi che inizialmente si manifestano a livello della pelle (dermatite, orticaria) e dell’intestino (diarrea, coliche, stipsi), si modificano nel tempo con problemi a carico dell’apparato respiratorio (rinite, tosse, asma).
È comunque tuttora controverso se una precoce introduzione degli allergeni possa o meno influenzare l’effettivo sviluppo di un’allergia: alcuni nuovi studi stanno evidenziando un beneficio nell’introduzione precoce degli allergeni. Una corretta diagnosi del problema ne permette la risoluzione ed evita di etichettare come “intollerante” o allergico un bambino sano.
A cura di: Dott.ssa Chiara Diamante Bosotti, Biologa Nutrizionista & Dott. Guido Bosotti, specialista in Pediatria
06 Novembre 2020
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