Esiste anche un long Covid educativo che colpisce le famiglie italiane e che sta generando, dopo i bambini tirannici che comandano sui genitori, una nuova figura di cui non si sentiva la mancanza: i picchiatori. Bambini dai 3 ai 9 anni che aggrediscono i genitori quando non fanno ciò che desiderano, quando sono arrabbiati, quando si crea un cortocircuito fra i loro desideri e la resistenza degli adulti.
Tanti papà e mamme mi raccontano di bambini che non reggono il "no" e che di riflesso scattano all’attacco. Sono situazioni imbarazzanti che ribaltano la tradizionale relazione genitori-figli. Storicamente, erano i genitori a picchiare i figli; oggi spesso sono questi ultimi che con pugni, calci, sputi, morsi e lancio di oggetti si danno un gran da fare e ne soffrono moltissimo.
Un fenomeno nuovo, per nulla indagato, che rilevo empiricamente dal mio lavoro con i genitori negli studi pedagogici.
È un’inequivocabile conseguenza di due anni e mezzo vissuti in una promiscuità casalinga forzata che ha portato a una confidenza fra grandi e piccoli davvero eccessiva, sempre più simbiotica e fusionale. Due anni e mezzo vissuti all’insegna dell’ansia, della preoccupazione e della paura hanno portato i genitori ad avere un atteggiamento di accentuata disponibilità, se non di servizievolezza.
L’autorità degli adulti è drasticamente diminuita: è cresciuta la figura del genitore-amico a discapito del genitore educativo; il papà diventa compagno di giochi – tipico il gioco del cavallo dove si prende sulla schiena il piccolo e lo si porta in giro per la casa. I bambini che a 6 anni frequentano il lettone dei genitori non sono più un’eccezione, ma quasi una regola.
Moltissimi bambini dipendono ancora dall’intervento di un genitore per pulirsi, mentre il 90% può entrare in bagno quando è già occupato. Il bacio sulle labbra o l’utilizzo sistematico di termini da fidanzati come "amore" con i figli di 6-7 anni appaiono fuori misura. Si sono diffusi i doposcuola famigliari dove i compiti scolastici non sono più un’incombenza degli alunni, ma un impegno comune e condiviso da tutta la famiglia, prioritariamente gestito dalla mamma.
Si tratta di un quadro nuovo che non è di carattere psicopatologico o di neuropsichiatria infantile, ma esclusivamente educativo. La pandemia e, successivamente, la guerra si sono innestate su situazioni genitoriali già fragili, sia dal punto di vista emotivo che educativo.
Oggi ci ritroviamo bambini arrabbiati che i genitori non sono in grado di contenere se non con le urla, peggiorando la situazione. Appare curioso che durante questi anni pesanti siano stati dati ristori a tutti meno che ai genitori: pochissimo sul piano economico, praticamente nulla su quello educativo.
Abbiamo bisogno di ricreare un immaginario positivo nei confronti dell’educazione famigliare e genitoriale. Non si può pensare che i figli si tirino su da soli e che non abbiano bisogno di educazione. Non funziona così. Serve organizzazione educativa, una giusta distanza per offrire ai figli quello spazio dove esercitare la propria autonomia e dove i genitori possano essere davvero un punto di riferimento.
Se nel quarto anno di vita i bambini sono in grado di dormire da soli, questo dev’essere un obiettivo imprescindibile e inequivocabile, direbbe Maria Montessori, altrimenti non si tratta semplicemente di un errore, ma si rischia di creare quelle malattie dell’educazione di cui ho tanto parlato nei miei libri.
Per proseguire in questo esempio, niente lettone dal quarto anno di vita, niente servizievolezze, fare in modo che bambini e bambine possano trovare, nel ruolo educativo dei genitori, la possibilità di sviluppare tutte le loro potenzialità senza eccessi di accudimento, di confidenza e di assistenza. Sono inutili e sottraggono risorse all’autostima dei più piccoli nella loro forza per crescere felici.
A cura di: Daniele Novara, pedagogista e Direttore CPP - Scuola Genitori
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Yaya P.
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